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  • Immagine del redattore: Paola Foggetti
    Paola Foggetti
  • 30 ago 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Il tempo non cura tutte le ferite, talvolta le nasconde soltanto e quelle ferite tracciano la nostra vita come un’epidemia nascosta (Lanius et al., 2010). Le conoscenze scientifiche sull’incidenza e la prevalenza dei disturbi trauma correlati in età adulta e delle esperienze traumatiche durante l’età dello sviluppo, sulle loro conseguenze psicopatologiche e sulla salute dell’intero organismo, sono cresciute esponenzialmente negli ultimi vent’anni.


Già dieci anni or sono usciva in Italia il volume di Ruth A. Lanius e colleghi, forse ancora oggi il più importante della psicotraumatologia dello sviluppo, una rassegna aggiornata e completa dei saggi sull’argomento: “L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia”.

La ricerca scientifica da allora è andata avanti continuando a confermare quei dati epidemiologici e mettere ancor più in evidenza l’incidenza, la prevalenza e la complessa morbilità dei disturbi trauma correlati e cumulativi, che insorgendo in età infantile possono avere un impatto patologico multisistemico, a vari livelli di gravità, su tutto l’organismo.


Altre chiavi importanti che ampliano la conoscenza eziopatogenetica dei disturbi traumatici complessi riguardano le numerose ricerche nel campo dell’epigenetica pre e post natale.

In questa direzione intra e inter-sistemica vengono affrontati gli argomenti esposti in questo libro. Le ipotesi sulle osservazioni dei dati vengono elaborati attraverso il paradigma scientifico psico-neuro-endocrino-immunitario (PNEI), il quale studia le complesse relazioni bidirezionali tra la psiche e i sistemi biologici. Particolare attenzione è posta ai network psicobiologici che interagiscono e sono influenzati dai contesti sociali, ambientali e culturali. L’essere umano viene quindi concepito e studiato come un organismo dinamicamente integrato con il proprio ambiente di vita.


Un fattore importante capace di influenzare profondamente i network PNEI (Psiconeuroendocrinoimmunitari) è lo stress, condizioni di stress cronico possono avere effetti disfunzionali e maladattativi di lunga durata, con deviazioni dei livelli di operatività dei diversi sistemi biologici (nervoso, immunitario, endocrino e metabolico) e conseguenze patologiche su vari organi e apparati (McEwen, 2017).

Un’attenzione particolare viene data a quelle condizioni traumatiche di stress cronico che riguardano esperienze di vita fortemente avverse durante l’età dello sviluppo e che possono ripresentarsi in età adulta.

Questo lavoro prende in esame situazioni cliniche di stress ripetuti e abnormi. Presentiamo uno studio osservazionale di 30 pazienti ambulatoriali, con diagnosi di PTSD-complex in comorbilità con altri disturbi in Asse I e II, dello spettro traumatico e dissociativo, disturbi dell’umore e Malattie Autoimmuni.

Quando parliamo di disturbi trauma correlati non possiamo riferirci solo al Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD, DSM-5), ma a una serie di sindromi e malattie di importante complessità diagnostica.

In un’ottica mente corpo integrata l’esposizione a stress emozionali ripetuti, a condizioni di vita di solitudine e trascuratezza, incrementa l’attività infiammatoria del sistema immunitario. Al contrario, l’infiammazione, che dal sistema immunitario raggiunge il cervello, influisce la funzionalità cerebrale anche nelle diverse esperienze della vita di relazione. Questo indica che i processi motivazionali possono essere immersi in una matrice cerebrale infiammatoria, causando comportamenti disfunzionali e stati di sofferenza psichica, da cui possono scaturire veri e propri disturbi psichiatrici. (Bottaccioli, 2017).

I disturbi traumatici cumulativi definiscono una dimensione psicopatologica che si presenta in tutti i quadri clinici peggiorandone la prognosi e determinando resistenza a qualsiasi tipo di intervento terapeutico (Farina e Liotti 2013). Il principale fattore di resistenza è dato dalle difficoltà nella relazione terapeutica con il clinico, nella costruzione e nel mantenimento dell’alleanza terapeutica (Farina, Liotti 2013; Ivaldi, 2009, 2016; Foggetti, 2013, 2014; Monticelli, Liotti, 2014); poter mantenere e rinegoziare una alleanza terapeutica costituisce il fattore cruciale nel processo di trattamento con questi pazienti che viene approfondito nel V capitolo.

Nel presente lavoro vengono tenute conto le linee guida proposte dalla ISST-D e integrate con tecniche e interventi validati (EMDR, Meditazione, Ipnosi), riconosciuti idonei per ogni singolo paziente.

Il sovraccarico allostatico, enorme, che ogni paziente traumatizzato porta all’attenzione del clinico, in termini di sintomi disregolati, di comportamenti lesivi come abuso di sostanze o alcol, di comportamenti autolesionistici come ferite autoinferte, pensieri suicidari, etc., altresì come carico di memorie traumatiche, deve essere affrontato tenendo conto della messa in sicurezza del paziente e delle possibili risorse disponibili. Quasi sempre è necessario costruire e concordare una rete di aiuto multidisciplinare.


Esiste una vastissima letteratura che riguarda lo studio dei disturbi traumatici ed in particolare, dei traumi ripetuti e cumulativi.

I traumi possono presentarsi in modo acuto e macroscopico ma anche agire in modo “mascherato”.


Molto spesso l’epidemiologia del trauma “nascosto” e i suoi effetti sulla persona dipendono da diverse variabili: la caratteristica degli eventi traumatici, l’età del soggetto, le caratteristiche temperamentali, la personalità, la predisposizione genetica, la marcatura epigenetica, ma dipendono anche dalle disponibilità di accoglienza e sostegno sociale, dalla prossimità di un caregiver capace di dare aiuto e consolazione, dalle capacità di coping e di resilienza della persona.


La presenza o l’assenza di questi fattori determinano un impatto variabile e altamente differenziato sulla salute e sulla qualità di vita degli individui esposti a eventi traumatici.


Proprio a causa del marasma infiammatorio psiconeuroendocrino e del sistema immunitario, i traumi cumulativi e ripetuti, se non trattati, possono favorire nel tempo l’insorgenza di un’ampia gamma di sindromi e malattie: disturbi cardiocircolatori, malattie dell’apparato respiratorio, diabete di tipo 1, malattie autoimmuni, disturbi depressivi e altre patologie psichiatriche insieme a costellazioni sintomatologiche di alta complessità diagnostica.


Altre evidenze importanti arrivano dall’epigenetica che consente di studiare ed analizzare i meccanismi molecolari attraverso i quali i contesti relazionali e ambientali possono influenzare l’espressione genica. Argomento ampiamente studiato di cui si parla nel quarto capitolo.


Tuttavia è importante sottolineare che l’esposizione ai traumi non determina sempre un disturbo traumatico, e soprattutto i danni psicobiologici possono essere, quasi sempre, sanati. Il principio della plasticità epigenetica implica che le modifiche all’epigenoma potrebbero resettarsi quando le avversità ambientali non sono più presenti e quando si sviluppa una modalità alternativa per affrontare le sfide ambientali.

In età adulta possiamo imparare non solo ad adattarci e quindi sviluppare i nostri meccanismi di resilienza ma soprattutto imparare a proteggerci, in senso psicobiologico, dalle avversità prevedibili.

  • Immagine del redattore: Paola Foggetti
    Paola Foggetti
  • 17 ott 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 19 ott 2021


Il termine Adattamento in psicologia è fortemente agganciato al concetto di Resilienza, cioè la capacità che ci permette di fronteggiare i momenti difficili della vita, le avversità ambientali, i dolori personali, le malattie, etc. e di riemergere con maggiore forza e conoscenza.

Iniziamo a porci delle domande: perché è importante sapersi adattare alle avversità della vita? Come essere umani siamo predisposti biologicamente a questo? Quali sono i meccanismi che ci permettono l’adattamento? E quando, invece, l’adattamento non è possibile o risulta deficitario? Quanto incide l’ambiente esterno per il nostro adattamento alle avversità? Quali sono i processi fondamentali che ci rendono resilienti? Quali sono i segnali psicobiologici da valutare?

Proviamo a trovare delle risposte partendo dal concetto di RELAZIONE.

La vita è relazione: dal micro al macro organismo e sistema, dal biologico al sociale e viceversa, in continua interazione tra essi; in biologia tra piante e animali, nelle sinapsi chimiche, elettriche ed elettromagnetiche; in psicobiologia, in forma di network complessi tra sistemi e apparati del corpo umano e degli animali; tra gli interi organismi viventi e gli ambienti esterni (climatici, geografici, etc.).

Tutti i sistemi in relazione orientano l’ADATTAMENTO.

Mi piace parlare di Adattamento Evolutivo nell’uomo, quando mi riferisco alla capacità dell’intero organismo di essere “creativo” e rigenerativo, che in ultima analisi, esso correla con la Neuroplasticità cerebrale, ovvero la capacità del nostro cervello di creare o rinnovare cellule e collegamenti neurali.

Sappiamo che anche il nostro DNA può esprimersi in modo plastico, l’epigenetica ce lo mostra: la ricerca mette sempre più in evidenza l’importanza dei fattori epigenetici nel modulare l’attività dei nostri geni e nel modificare l’espressione di alcuni geni.

Un altro concetto importante che ci aiuta a comprendere come ci adattiamo è l’Allostasi.

L’organismo umano non funziona come un mèro “termostato” (Omeostasi), ma risponde in modo variabile, valuta gli stimoli salienti ambientali e modifica i suoi valori fisiologici per il migliore adattamento possibile. Il nostro cervello crea delle previsioni di quanto sta per accadere, sulla base della sua memoria e delle sue aspettative, oltre che dai segnali sensoriali e dai feedback provenienti dalle risposte motorie, neurormonali, etc. (Sterling, 2012, “Allostasis: A model of predictive regulation”, Physiology & Behavior, 106, pp. 5-15).


Quindi sulla base di queste previsioni il cervello umano analizza le informazioni sensoriali che riceve, elabora simulazioni e predizioni anche sul lungo termine, valuta gli errori e le incongruenze fra sensazioni e predizioni e cerca di minimizzare questi errori sulla base delle energie a disposizione, della memoria e della consapevolezza (Barrett, 2017, “The theory of constructed emotion: an active inference account of interoception and categorization”, Soc Cogn Affect eurosci, 1-23).

L’organismo umano è dunque, allostatico e la centralina è il cervello: valuta gli stimoli ambientali e modifica i suoi valori fisiologici (mente e corpo), sulla base di: esperienze passate, stato ambientale, alimentazione, caratteristiche personali, etc. (McEwen & Gianaros, 2011, “stress- and Allostasis-Induced Brain Plasticity”, Annual Review of Medicine, 62, pp. 431-45).

Lo stress, il corpo e la percezione: il carico allostatico.

I segnali che arrivano dal corpo sono fondamentali per calibrare la risposta di stress: tutti i sistemi psicobiologici si attivano e se l’organismo, nella sua totalità mente corpo non riesce ad attuare il riposo e il recupero delle energie, rimane in uno stato di allerta e i sistemi si logorano, fino all’esaurimento delle risorse disponibili per fronteggiare in maniera adattiva le avversità (Payne & Crane-Godreau 2015, “The preparatory set: a novel approach to understanding 64†550 stress, trauma, and the bodymind therapies”, Front Hum Neurosci, 9: 178).

In altre parole, quando lo sforzo per risolvere “un problema” diviene eccessivo, si entra in uno stato di carico allostatico, si inizia a consumare troppe risorse, l’organismo può diventare: a) troppo sensibile, eccitabile e irritabile, b) troppo poco sensibile o esausto. Come ci mostrano i grafici (McEwen & Gianaros 2011, “stress- and Allostasis- Induced Brain Plasticity”, Annual Review of Medicine, 62, pp. 431-45).

La resilienza ai tempi del corona virus.

In questa epoca di pandemia mai come ora sono cresciute in modo esponenziale i disturbi psichiatrici e le malattie, nei bambini, negli adolescenti e anche negli adulti. Erano tutti soggetti «fragili»?

Oppure quello che sta accadendo ci impone di riorganizzare in senso psicobiologico «le fondamenta» del nostro sistema Nervoso di Relazione e di Adattamento?

La condizione protratta di continua richiesta di adattamento, non è stata e non è ancora, solo altamente stressante, ma mina le nostre capacità innate di adattamento, che sono quelle che ci permettono di fare dei salti maturativi, ovvero le "buone" relazioni percettivo/affettive organismo ambiente, di cui tutti hanno bisogno per mantenere la salute durante l’arco della vita, mentre i soggetti fragili ne hanno la priorità assoluta.

Essere resilienti, quindi, significa recuperare, stimolare e non perdere queste capacità innate adattative, le quali fanno parte di un processo vitale unitario, quindi in relazione, tra organismo e contesto ambientale opportuno e responsivo.

Per acquisire e sviluppare l’adattamento, in età adulta, divenire consapevoli è il primo passo, ma la consapevolezza non basta se non si tiene conto della «resilienza di base».

Da un punto di vistra psiconeurobiologico abbiamo bisogno di attuare un processo che in psicologia cognitiva è chiamato: Assimilazione, mentre in termini neurobiologici è chiamato: Riorganizzazione neuronale. Quando non abbiamo la possibilità di trovare una soluzione ai nostri problemi di salute, quando non riusciamo a trovare una base sicura a cui attingere e trovare conforto, allora dobbiamo orientarci a capire in quale modo possiamo aiutarci. Talvolta è necessario intervenire sui nostri MOI (Modelli Operativi Interni), gli schemi mentali che contengono credenze emozioni e sensazioni somatiche co-create durante l’età evolutiva, che risultano disfunzionali e insicuri …

Non è cosa da poco. La vera consapevolezza passa attraverso una riscrittura della nostra vita e delle nostre risposte ad essa, e solo allora essa si presenta come un fenomeno resiliente e di adattamento evolutivo.

Da dove iniziare.

Proviamo a riconoscere le nostre emozioni, esse sono il faro, la nostra guida, anche quelle più disturbanti come la paura, la rabbia, la vergogna, il disgusto, la tristezza, la disperazione … Quando siamo confusi e disorientati non è facile… e quindi proviamo ad accogliere le nostre fragilità per ricercare nutrimento. Impariamo a condividere e a chiedere conforto, aiuto a chi è disposto ad ascoltarci, senza giudicare. E quando ci sentiremo più forti, potremo lottare contro le avversità quotidiane e compiere scelte consapevoli che ci orientano a una vita in salute.


foto in copertina Carlo Corti




Le sensazioni e le percezioni accendono le emozioni. Le neuroscienze rivelano che le regioni del cervello specializzate nell'elaborazione dell'informazione visiva vengono attivate anche dal senso del tatto. In particolare la corteccia occipitale laterale, si attiva sia alla vista, sia sensazione tattile di un oggetto. Ma in sinergia, si attiva anche la corteccia occipitale mediale, indipendentemente dal fatto che l'oggetto venga percepito dall'occhio o dalla mano…


Ma la percezione non coinvolge solo il cervello, in un'ottica più allargata, psicofisiologica, la percezione coinvolge l'intero sistema corpo e tutte le sue funzioni nella sua unità, appunto, psicofisica.

Il modo di funzionare della mente caratterizza questa integrazione, che diviene, nel corso dello sviluppo, specificatamente individuale.

In questa dimensione di integrazione mente corpo, ci collega immediatamente all'arte o meglio all'esperienza estetica dell'arte in cui è possibile esperire, ed esprimere, tutte le sensorialità.

Quando guardiamo un quadro, ad esempio, immediatamente dopo la visione si attiva una rappresentazione multisensoriale nelle regioni superiori del cervello. Questa combinazione sensoriale ci permette di identificare i diversi materiali…


Ma quella parte del cervello accende altre vie, collegandosi con parti più periferiche dell'organismo, come i visceri, la muscolatura, la cute. Questi a loro volta rimandano segnali di ritorno alle regioni del cervello deputate al riconoscimento e alla regolazione delle emozioni, come illustrato dall'immagine iniziale… L'esperienza di produrre e di esperire arte è un viaggio che prevede strade diverse e molti paesaggi … Vista, tatto, singolarmente o in combinazione tra loro sono in grado di reclutare i sistemi emotivi del nostro cervello: amigdala e ipotalamo … e se non abbiamo inibizioni, il sistema modulatorio dopaminergico ci farà vivere tutte le sfumature emotive.


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