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  • Immagine del redattorePaola Foggetti

Omaggio di Natale a Gianni Liotti

Aggiornamento: 20 dic 2021


Maestro generoso della psichiatria italiana…John Bowlby, di cui fu amico e referente italiano, disse della sua opera: «ha dato un contributo brillante, originale e sostanziale al pensiero contemporaneo sul ruolo dei processi cognitivi nello sviluppo della personalità e della psicopatologia».” Treccani .

Negli ultimi anni sono venuti a mancare figure importanti della psicoanalisi relazionale e del cognitivismo, quali Joseph D. Lichtenberg e recentemente Aaron Beck .

Di seguito ho voluto riportare un articolo integrale di Gianni e pubblicato nel 2015 perché credo sia doveroso e importante ricordare il suo enorme contributo scientifico nell'ambito della psicologia clinica e psicoterapia cognitiva evoluzionistica, sempre in sviluppo, orientato all'integrazione di modelli complessi della psicoanalisi contemporanea e del cognitivismo relazionale.

Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 2, n. 1, gennaio 2015, pp. 11-26 ISSN 2283-8279 - © 2015 Scione Editore Roma. Rassegne e discussioni teoriche/Reviews and theoretical discussions

"Psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento: Una prospettiva basata sulla teoria evoluzionista dei sistemi motivazionali".

Abstract.

La possibilità di una forma di psicoterapia per pazienti adulti attachment based,

cioè interamente basata solo sullo studio dell’attaccamento, appare poco plausibile.

È invece possibile una forma di psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento

(attachment informed), ma che considera anche le componenti della relazionalità umana diverse dall’attaccamento. Tali componenti devono essere identificate su una base epistemologica evoluzionista e con modalità essenzialmente etologiche per essere congruenti con la teoria bowlbiana dell’attaccamento. L’articolo presenta le radici, nel pensiero di Bowlby, dello studio delle interazioni fra sistema di attaccamento e altri sistemi di controllo del comportamento relazionale umano. Procede poi a illustrare le linee generali di una psicoterapia attachment informed utilizzando come esempio il trattamento dei disturbi dell’adulto conseguenti a traumi cumulativi e disorganizzazione dell’attaccamento nell’infanzia.

La possibilità di un tipo di psicoterapia interamente basato sull’attaccamento – per esempio Obegi e Berant (2009) citano il Circolo della Sicurezza proposto da Powell, Cooper, Hoffman e Marvin (2009) come rappresentativo di questa possibilità, almeno per quanto riguarda la psicoterapia dei bambini – altri la considerano con scetticismo. Arietta Slade (2008), per esempio, ha affermato che possono svilupparsi forme di psicoterapia attachment informed, cioè ispirate dalla teoria dell’attaccamento e potentemente influenzate dalla ricerca sulle vicissitudini dell’attaccamento, ma non una psicoterapia interamente fondata solo sulla teoria definita dalla trilogia di John Bowlby (1969, 1972, 1980). A sostegno della propria idea,

Slade (2008) ha argomentato, con efficacia, che la teoria dell’attaccamento mette a fuoco solo una delle molteplici componenti della relazionalità umana, mentre lo psicoterapeuta deve considerarne anche altri elementi.

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Le componenti della relazionalità umana diverse dall’attaccamento possono essere vantaggiosamente identificate con i comportamenti regolati da alcuni sistemi di controllo (che è possibile chiamare sistemi motivazionali) diversi dal sistema di attaccamento, ma come quest’ultimo frutto anch’essi dell’evoluzione (Liotti, 2001, 2011a, 2014a; Liotti & Monticelli, 2008). Per la psicoterapia ispirata dalla teoria e dalla ricerca sull’attaccamento una teoria evoluzionista dei sistemi motivazionali costituisce un punto di forza: condividendo nel dettaglio la prospettiva epistemologica dichiaratamente evoluzionista che è alla base dell’opera di Bowlby, e avendo fondamento nei dati dell’etologia comparata su cui Bowlby tanto insisteva, una tale teoria eviterebbe il rischio di incongruenze tra il modo di concepire e descrivere le “componenti della relazionalità umana” diverse dall’attaccamento da un lato, e dall’altro quello caratteristicamente evoluzionistico della concezione bowlbiana dell’attaccamento. In altre parole, teorie multi-motivazionali della relazionalità umana che, pur inglobando il sistema motivazionale dell’attaccamento, non procedono a identificare

gli altri sistemi con le modalità dell’etologia comparata e nella prospettiva generale

dell’evoluzionismo, non possono fornire all’attachment informed psychotherapy una

concettualizzazione dei diversi sistemi motivazionali congruente con quella che caratterizza la definizione bowlbiana del sistema di attaccamento. Un esempio di teoria multimotivazionale che ingloba l’attaccamento ma non è basata su principi evoluzionistici è quella di Lichtenberg (1989), in cui l’attaccamento e gli altri sistemi motivazionali sono identificati attraverso l’infant observation e il metodo empatico della tradizione kohutiana. Lichtenberg e i suoi collaboratori hanno finito per cercare in una teoria dei sistemi dinamici, basata su analogie formali con la concettualizzazione matematica dei frattali, la base per il loro modello multi-motivazionale (Lichtenberg, Lachman, & Fosshage, 2011). Concettualizzato come sistema dinamico complesso e pensato in analogia con un frattale, il sistema di attaccamento conserva poche somiglianze con quello studiato da Bowlby come sistema fisiologico frutto dell’evoluzione. Teorie come quella di Lichtenberg non possono dunque costituire il fondamento per l’attachment informed psychotherapy preconizzata da Slade (2008) nella sua critica della possibilità di un’attachment based psychotherapy.

Una lettura attenta del primo volume della trilogia Attaccamento e Perdita suggerisce che Bowlby (1969) avesse in mente, in effetti, un insieme di sistemi motivazionali molto simile a quello definito nel lavoro successivo di messa a punto di una teoria multi-motivazionale, di stampo evoluzionistico, delle “altre componenti della relazionalità umana” (Liotti, 2001, 2004; Liotti & Monticelli, 2008).

1. L’attaccamento e gli altri sistemi motivazionali: Il punto di vista di Bowlby

Che il comportamento, le emozioni e l’esperienza interiore degli esseri umani siano troppo complessi, lungo tutto l’arco di tempo dello sviluppo della vita umana (dalla culla alla tomba), per essere spiegati solo dalle funzioni del sistema di attaccamento era già l’opinione di Bowlby, quando argomentava che l’attaccamento deve essere distinto dai sistemi che controllano aspetti del comportamento sociale diversi dalla ricerca di vicinanza protettiva (Bowlby, 1969, pp. 230-234) . I principali fra questi altri sistemi, nell’opinione di Bowlby, si sviluppano (proprio come il sistema di attaccamento) grazie all’esperienza individuale, ma sempre sulla base di disposizioni innate frutto di adattamenti darwiniani. È possibile studiarne le continue interazioni dinamiche col sistema di attaccamento proprio e soltanto quando si riconosce la specificità della loro evoluzione e valore adattativo (cioè della loro funzione) rispetto all’evoluzione e alla funzione del sistema di attaccamento.

Nella teoria di Bowlby, il sistema di controllo che regola l’attaccamento riguarda principalmente la ricerca di cura, aiuto e conforto nei momenti di paura o disagio.

Esso è quindi legato alla protezione dalle minacce ambientali e al sollievo del dolore fisico o mentale che segue a ogni forma sia di danno fisico sia di trauma psicologico (Bowlby, 1969, pp. 224-228 e pp. 257-260). Questo punto di vista implica che un frequente antecedente dell’attivazione del sistema di attaccamento è l’attività di un ben noto sistema psicobiologico che controlla la difesa diretta dai pericoli ambientali: il sistema di attacco-fuga (fight-flight) che gli etologi chiamano a volte, per brevità, sistema di difesa. Per le specie dei primati in particolare, visto il lungo periodo necessario per acquisire una piena padronanza del sistema di difesa, la protezione da parte dei genitori della prole ancora immatura di fronte a potenziali o attuali attacchi di predatori, secondo Bowlby (1964; 1969, pp. 224-228), ha costituito un’importante pressione ambientale nell’evoluzione del sistema di attaccamento (cfr. anche Attili, 2007). In altre parole, Bowlby considerava il sistema di attaccamento sintonizzato funzionalmente col sistema di difesa ma indipendente da esso perché evoluzionisticamente più recente.

Un altro sistema di controllo del comportamento (sistema motivazionale) che Bowlby considerava funzionalmente sintonizzato, nelle interazioni quotidiane con i genitori, col sistema di attaccamento del bambino è il sistema di accudimento operante in chi si prende cura della prole. Il sistema di accudimento, come quelli di difesa e di attaccamento, è frutto dell’evoluzione: esso ha cioè una base innata, anche se l’esperienza ne modifica in senso individualizzato le operazioni. Bowlby (1969) rendeva questa plasmabilità dei sistemi motivazionali che regolano la relazione umana con la dizione “ambientalmente labili”, in opposizione agli istinti che sono ambientalmente stabili. Il sistema di accudimento non è dunque soltanto il risultato di un processo di apprendimento, legato negli adulti alle memorie di come, da bambini, hanno ricevuto cura e protezione. Già a 18 mesi i bambini esprimono comportamenti di accudimento in risposta a segnali di disagio emessi da altri esseri umani o anche da animali di altre specie, il che è un indizio del fondamento innato del sistema di accudimento. Altri indizi sono che il sistema di accudimento è rappresentato da

aree cerebrali diverse ed è maggiormente influenzato dall’ossitocina rispetto al sistema di attaccamento (Panksepp, 1998). È da sottolineare che Bowlby raramente parla in termini di sistemi di controllo del comportamento dell’accudimento, della difesa dai pericoli ambientali e di altre componenti del repertorio comportamentale umano, ma è del tutto legittimo ritenere, in base a un’attenta lettura del primo volume della trilogia (Bowlby, 1969) che questo fosse il suo pensiero. Recentemente, George e Solomon (2008, 2011) hanno fornito un’analisi dettagliata sulle caratteristiche del sistema di accudimento considerate come sistema di controllo del comportamento.

Nel primo volume della sua trilogia – oltre alle indicazioni riguardanti le interazioni fra attaccamento, difesa diretta dai pericoli ambientali e sistema di accudimento operante nei genitori – si trovano poi alcune pagine che Bowlby dedica a discutere esplicitamente le differenze fra il sistema di attaccamento e il sistema sessuale (Bowlby, 1969, pp. 230-232). La ricerca recente ha ripreso e confermato l’idea di Bowlby sulla necessità di considerare i due sistemi ben distinti fra loro. Oggi sappiamo anche che i due sistemi, attaccamento e sessualità, sono rappresentati, nell’uomo come nelle altre specie di mammiferi, in aree cerebrali diverse e operano attraverso meccanismi biochimici assai differenti (Panksepp, 1998). Attili (2004) ed Eagle (2007) hanno approfondito la riflessione sull’indipendenza funzionale dei due sistemi, attaccamento e sessualità, e sulle tensioni dinamiche positive e negative possibili fra essi. Se è evidente che i sistemi della sessualità e dell’attaccamento possono interagire armoniosamente fra loro in entrambi i partner di una coppia adulta, pur

essendo per altri versi l’uno parzialmente antagonista dell’altro (Eagle, 2007), è altrettanto evidente che una tale armoniosa interazione è impossibile in bambini che si trovino a essere oggetto delle attenzioni sessuali di un adulto (Erickson, 2000).

È questo un primo, intuitivo esempio delle conseguenze anche cliniche di una teoria multi-motivazionale a fondamento evoluzionistico, in cui s’identificano molteplici sistemi di controllo come distinti dall’attaccamento anche se interagenti con esso. Esso illustra come divenga possibile indagare sui conflitti e le tensioni dinamiche negative fra i diversi sistemi, oltre che sulle sinergie positive nella loro interazione. Questa prospettiva d’indagine, potenzialmente preziosa per la psicopatologia e la psicoterapia, non è altrettanto favorita da una psicoterapia attachment-based che si concentri prevalentemente sullo studio del sistema di attaccamento. Poiché Bowlby ha dedicato tanta riflessione sulle interazioni fra il sistema di attaccamento e altri aspetti della regolazione del comportamento umano, è presumibile che se oggi gli fosse stata chiesta un’opinione su quale tipo di psicoterapia, attachment-based o attachment informed (nel senso dato ai due termini all’inizio di quest’articolo), promettesse migliori prospettive per le applicazioni cliniche della sua teoria, quest’opinione sarebbe stata favorevole alla seconda. Indicazioni a sostegno di quest’ipotesi

possono essere trovate in alcune risposte di Bowlby alle domande di un intervistatore (Tondo, 2011, p. 167).

Fra gli aspetti del comportamento umano che interagiscono con quelli controllati dal sistema di attaccamento ma restando ben diversi da essi per finalità e caratteristiche osservabili, Bowlby prestò attenzione anche ai comportamenti cooperativi nell’interazione fra genitore e bambino, caratterizzati dalla condivisione di una determinata meta ambientale (Bowlby, 1969, p. 355), contrapponendoli a quelli conflittuali e competitivi in cui uno dei membri della diade tenta di acquisire dominanza sull’altro per indurlo a cambiare obiettivo (Bowlby, 1969, pp. 355-356). Il sistema motivazionale che regola il comportamento competitivamente aggressivo rivolto ai conspecifici, che diviene assai articolato e sofisticato nell’evoluzione dei mammiferi, è stato poi studiato in dettaglio da etologi e psicologi clinici (Gilbert, 1989). Poiché l’aggressività competitiva non è finalizzata a danneggiare l’antagonista, ma solo a ottenerne la resa durante una contesa (comportamento aggressivo ritualizzato), essa porta alla definizione di gerarchie di dominanza e subordinazione fra i membri di un gruppo sociale: di qui il nome di sistema di rango, o agonistico, attribuito a questo sistema motivazionale. Altrettanto e anche maggiore interesse ha ricevuto, più di recente, il sistema motivazionale che regola condotte cooperative e paritetiche, studiato a fondo nelle sue caratteristiche e nelle sue origini evoluzionistiche da Tomasello e dai suoi

collaboratori (Hare & Tomasello, 2004; Tomasello, 1999, 2009; Warneken, Chen, &

Tomasello, 2006), da Boehm (1999), da Henrich e Henrich (2006) e da Hrdy (2009).

Possiamo ipotizzare con un certo fondamento che Bowlby, avendo ben presente l’influenza delle vicissitudini dell’attaccamento sulla conflittualità agonistica e sulla cooperazione, avrebbe approvato la possibilità di parlarne in termini di interazioni dinamiche fra diversi sistemi di controllo del comportamento. Un’estesa discussione delle differenze fra il sistema di attaccamento e quello di cooperazione paritetica è stata offerta da Cortina e Liotti (2010). Riflessioni sulla diversa natura, funzione e itinerario evoluzionistico dei sistemi di attaccamento e di rango sono proposte da Gilbert (1989).

Anche se non si tratta di una componente intrinseca solo alla relazionalità (cioè di un sistema motivazionale strettamente interpersonale), occorre infine ricordare che la disposizione innata all’esplorazione dell’ambiente (sistema esplorativo) è stata oggetto di particolare attenzione, per l’importanza delle sue interazioni con l’attaccamento, da parte di John Bowlby (1969) e di Mary Ainsworth (Ainsworth, Blehar, Waters, & Wall, 1978). La famosa metafora della base sicura(Bowlby, 1988) riassume le osservazioni e le riflessioni dei due pionieri dell’attaccamento circa l’importanza della sicurezza offerta dalla presenza del caregiver nel sostenere e incoraggiare in maniera armonica le operazioni del sistema esplorativo dei bambini.

In sintesi, è sostenibile l’idea che una psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento – un’attachment informed psychotherapy in senso stretto – debba considerare, in accordo con le riflessioni di Bowlby sull’influenza che l’attaccamento ha su altri aspetti della condotta e dell’esperienza umana, le operazioni di almeno sette sistemi di regolazione del comportamento visti come frutto dell’evoluzione: esplorazione, difesa, attaccamento, accudimento, sessualità, competizione per il rango e cooperazione paritetica.

2. Il ruolo dei diversi sistemi motivazionali nella psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento

I principi generali del trattamento di un’area della psicopatologia vasta, ma allo stesso tempo ben delimitata, offrono un buon modo di illustrare come la teoria dell’attaccamento, se coniugata allo studio degli altri sistemi motivazionali – intuiti da Bowlby e confermati dall’etologia e almeno in parte anche dalle neuroscienze (Panksepp, 1998; Panksepp & Biven, 2011) – può ispirare uno specifico modello di psicoterapia. L’area della psicopatologia a cui faremo qui riferimento è costituita dai disturbi dell’adulto conseguenti a traumi psicologici cumulativi dell’infanzia, e comprende i disturbi dissociativi, il disturbo borderline di personalità e almeno una parte dei disturbi cronici da stress post-traumatico, che molti hanno proposto di racchiudere in un’unica diagnosi, (disturbo da stress post-traumatico complesso, disturbo traumatico dello sviluppo, disturbo di personalità post-traumatico: per una breve rassegna di queste proposte, vedi Liotti & Farina, 2011, pp. 21-25). Inizieremo indicando come, nel modello psicopatologico, alla base della psicoterapia di questi disturbi ispirata dalla teoria dell’attaccamento si incontri subito un esempio illuminante delle abnormi tensioni dinamiche fra attaccamento e altri sistemi motivazionali – tensioni che sono caratteristicamente oggetto dell’attenzione del clinico nell’attachment informed psicotherapy.

2.1 I sistemi di attaccamento e di difesa nella disorganizzazione dell’attaccamento

La teoria dell’attaccamento e la ricerca successiva suggeriscono che la traumatizzazione cronica e cumulativa che inizia nell’infanzia si coniuga di regola alla disorganizzazione dell’attaccamento (Lyons-Ruth & Jacobvitz, 2008), per due possibili motivi: o uno dei genitori è esplicitamente maltrattante e, oltre a causare l’accumularsi dei traumi, crea una delle condizioni per la disorganizzazione dell’attaccamento nel bambino, oppure in vario modo abdica alla funzione di protezione-condizione quest’ultima che è la causa più frequente della disorganizzazione dell’attaccamento nella prima infanzia (Solomon & George, 2011). La disorganizzazione dell’attaccamento è caratterizzata da un conflitto fra le funzioni di due sistemi, attaccamento e difesa (Liotti & Farina, 2011), in evidente contrasto con l’assenza, nei bambini con attaccamenti sicuri o insicuri ma organizzati (i classici stili di attaccamento evitante e ambivalente) di clamorose tensioni dinamiche contrastanti fra i due sistemi. Comportamenti governati dal sistema di difesa (freezing o congelamento, aggressività

distruttiva o fuga carica di paura, e sincope vagale o “finta morte”) si mescolano tipicamente a quelli governati dal sistema di attaccamento (richiesta di vicinanza protettiva e conforto) nelle interazioni di attaccamento disorganizzato fra bambino e genitore (Attili, 2001; Liotti & Farina, 2011; Schore, 2009). Quest’abnorme tensione dinamica (o conflitto) fra i due sistemi si traduce in un’iperattivazione di entrambi i sistemi, espressa dalla paura senza soluzione (fright without solution;Main & Hesse, 1990) tanto spesso e drammaticamente dimostrata sia dai bambini con attaccamento disorganizzato sia dagli adulti con disturbi conseguenti a traumatizzazione cronica durante lo sviluppo.

Mentre l’intrusione di condotte regolate dal sistema di difesa si spiega facilmente quando il genitore è esplicitamente maltrattante – l’ostilità del genitore espressa con azioni violente è causa diretta dell’innesco del sistema di difesa nel bambino – è meno facile comprendere perché tale intrusione si verifica anche quando un genitore non fisicamente violento “abdica” (Solomon & George, 2011) alla sua funzione di protezione. La spiegazione va cercata nel modello darwiniano di Bowlby, che ipotizza un forte legame evoluzionistico fra il sistema di attaccamento e quello di difesa (Bowlby, 1969, pp. 224-228). Dall’interazione dinamica a base innata fra i due sistemi consegue che, se il genitore (o altro abituale caregiver) non risponde ai segnali di paura e disagio del bambino, il sistema di attaccamento tende alla disattivazione mentre il sistema di difesa si attiva per default anche in assenza di minacce ambientali: la preparazione alla necessità di difendersi da soli da possibili attacchi di predatori è la logica conseguenza, in una prospettiva darwiniana, del legame funzionale fra attaccamento e difesa. Il paradigma sperimentale della still face, il quale prevede che il caregiver è istruito a mantenere inespressivo il volto per tre minuti durante un’interazione di attaccamento col bambino (Adamson & Frick, 2003), dimostra efficacemente questa conseguenza dell’improvviso abdicare del caregiver alla sua funzione di sintonizzazione protettiva col bambino. Schore (2009) ha discusso in dettaglio come le risposte del bambino alla procedura della still facedimostrano l’attivazione del sistema di difesa in conflitto con quella, persistente, del sistema di attaccamento, e come tale attivazione simultanea e conflittuale dei due sistemi, tipica come abbiamo detto anche dell’attaccamento disorganizzato, sia alla base dei processi mentali dissociativi (per ulteriori argomentazioni sul legame fra dissociazione e conflitto fra attaccamento e difesa vedi Liotti & Farina, 2011).

2.2 Dissociazione e disorganizzazione dell’attaccamento

La dissociazione – che è la caratteristica base dei disturbi dell’adulto conseguenti a trauma cumulativi dell’infanzia, incluso il disturbo borderline di personalità (Liotti, 2014b; Meares, 2012) – trova quindi, nella psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento che stiamo descrivendo, spiegazione nella simultanea e conflittuale attivazione dei sistemi di attaccamento e difesa intrinseca alla disorganizzazione dell’attaccamento. L’idea che il modello operativo interno (MOI) dell’attaccamento disorganizzato sia responsabile dei processi mentali dissociativi almeno tanto quanto lo sono gli effetti dei traumi cumulativi ha ricevuto conferma, oltre che da numerose altre ricerche (per rassegne, vedi Liotti, 2009; Lyons-Ruth & Jacobvitz, 2008) da due importanti studi longitudinali prospettici (Dutra, Bureau, Holmes, Lyubchik, & Lyons-Ruth, 2009; Ogawa, Sroufe, Weinfield, Carlson, & Egeland, 1997). Una propensione alla dissociazione significativamente maggiore che negli altri è stata osservata, in questi due studi longitudinali, nei bambini e adolescenti con storie di attaccamento disorganizzato nella prima infanzia. Inoltre, una storia di attaccamento disorganizzato nella prima infanzia predice la dissociazione in misura significativamente

maggiore rispetto ai traumi che non di rado la seguono nel corso dello sviluppo (Dutra et al., 2009).

Grazie agli studi sull’attaccamento disorganizzato, e sulle sue sequele durante lo sviluppo della personalità, è possibile concepire la dissociazione come un fenomeno radicato nella relazione interumana e non solo come pura e semplice difesa intrapsichica (Lyons-Ruth, 2003; Liotti & Farina, 2013). Questa concezione della dissociazione ha importanti e caratteristiche conseguenze per l’attachment informed psychotherapy dei disturbi dell’adulto causati dalla traumatizzazione cumulativa durante l’infanzia. In una tale forma di psicoterapia, il clinico considera i sintomi dissociativi che si manifestano nei pazienti nella loro connessione al MOI disorganizzato e quindi all’attivazione del sistema di attaccamento all’interno delle relazioni significative che il paziente intrattiene, inclusa quella con lo psicoterapeuta. Di conseguenza, il terapeuta che segue il modello attachment informed monitorizza con cura ogni segno di iniziale attivazione del sistema di attaccamento nel paziente, e tiene presente l’importanza di agire prudentemente, ma con determinazione, allo scopo di ottenere l’attivazione del sistema motivazionale cooperativo nel corso del dialogo col paziente, limitando gli scambi clinici regolati dal sistema di attaccamento nel paziente e dal sistema di accudimento nel terapeuta. L’attivazione del sistema cooperativo nella regolazione degli scambi clinici fra paziente e terapeuta corrisponde, nella teoria multi-

motivazionale evoluzionistica, alla costruzione dell’alleanza terapeutica e alla pronta

riparazione delle sue rotture (Liotti & Monticelli, 2014). Da questo punto di vista,

l’attacchment informed psychotherapy è in perfetto accordo con la maggioranza dei modelli di trattamento per i disturbi causati da traumatizzazione cronica, che pure dedicano particolare attenzione all’alleanza terapeutica come premessa per ogni altra operazione terapeutica: vedi, per esempio, l’attenzione dedicata al contratto terapeutico nella terapia dialettico-comportamentale (Linehan, 1993), l’imperativo relazionale cooperativo privilegiato nelle terapie basate sull’EMDR (Dworkin, 2005), la continua ricerca dell’alleanza prima di proporre al paziente interventi sensorimotor (Ogden, Minton, & Pain, 2006), e in generale il ruolo fondamentale dell’alleanza nelle linee guida per il trattamento dei disturbi da stress post-traumatico complesso esaminato in sintesi da Liotti e Farina (2011). Rispetto a questi e altri modelli di trattamento che sottolineano l’importanza cruciale dell’alleanza terapeutica, l’attachment informed psychotherapypropone una spiegazione assolutamente specifica per la continua ricerca di alleanza terapeutica, e questa spiegazione è illustrata efficacemente da un recente studio sperimentale (Farina et al., 2014), che ha vagliato

la connettività corticale in un gruppo di 13 pazienti adulti con disturbi conseguenti a traumi cumulativi nell’infanzia e in un gruppo di controllo, prima e dopo la somministrazione di uno stimolo capace di attivare il sistema motivazionale dell’attaccamento.

Tre minuti prima di somministrare lo stimolo capace di attivare il sistema di attaccamento non vi era alcuna differenza di connettività corticale (misurata con la tecnica dell’EEG coherence) fra i pazienti e i controlli. Tre minuti dopo la fine della somministrazione dello stimolo capace di attivare il sistema di attaccamento (l’Adult Attachment Interview, AAI), invece, la connettività corticale era molto aumentata nei controlli, e per nulla aumentata nei pazienti, con differenza staticamente molto significativa (Farina et al., 2014). Dato molto interessante è che la codifica dell’AAI rivelava, in tutti i pazienti tranne uno, lo stato mentale riconducibile all’attaccamento disorganizzato, mentre fra tutti i 13 controlli solo uno aveva un tale stato mentale: tutti gli altri avevano stati mentali riconducibili alle diverse tipologie di attaccamento organizzato (sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente). Questi dati sono congruenti con l’ipotesi che l’attivazione del sistema di attaccamento, se è presente un

MOI disorganizzato, costituisce un ostacolo alla aumentata connettività corticale tipicamente evocata da un impegnativo compito di memoria e riflessione come l’AAI.

È dunque importante che il terapeuta si astenga dall’invitare il paziente, che presumibilmente viene da una storia di attaccamento disorganizzato e di traumatizzazione cumulativa, ad affrontare compiti impegnativi di memoria e di riflessione nei momenti del dialogo in cui sono presenti segni di attivazione del sistema di attaccamento. Un tale compito risulterebbe impossibile e controproducente per il paziente – controproducente perché l’ostacolo alla connettività corticale potrebbe raggiungere il livello che si manifesta con sintomi dissociativi perturbanti e talora molto gravi. La rievocazione di memorie traumatiche e di aspetti dolorosi della propria storia di attaccamento, indispensabile per il procedere favorevole della psicoterapia, deve attendere i momenti del dialogo clinico in cui l’assetto motivazionale è organizzato da sistemi interpersonali diversi dall’attaccamento, e preferibilmente dal sistema cooperativo (attivo quando è solida l’alleanza terapeutica).

Nelle riflessioni fin qui proposte, è evidente il ruolo attribuito dall’attacchment

informed psychotherapy alle tensioni dinamiche fra almeno tre sistemi motivazionali

– attaccamento, difesa e cooperazione paritetica – sia per la comprensione dei sintomi dissociativi del paziente sia per la costruzione e la riparazione dell’alleanza terapeutica prima di procedere al lavoro terapeutico su memorie traumatiche e revisione del MOI di attaccamento disorganizzato. È ora il momento di riflettere sul ruolo che in questo genere di psicoterapia hanno altri tre sistemi motivazionali: accudimento, rango (competitività agonistica) e sessualità. La ricerca sull’attaccamento suggerisce di esaminare questi tre sistemi alla luce delle conoscenze sulle strategie controllanti che seguono regolarmente, durante lo sviluppo della personalità, alla disorganizzazione dell’attaccamento nella prima infanzia.

2.3 Le strategie controllanti

L’analisi dell’attaccamento disorganizzato nei termini di un conflitto fra i sistemi di attaccamento e di difesa che si esprime con processi dissociativi implica una domanda importante: perché i bambini con storie di attaccamento disorganizzato non manifestano sempre, e neppure spesso, sintomi dissociativi pervasivi ed evidenti durante lo sviluppo della personalità? La risposta è offerta dalla ricerca sulle sequele dell’attaccamento disorganizzato nella prima infanzia durante lo sviluppo successivo: tra i tre e i sei anni di età la grande maggioranza dei bambini che avevano mostrato disorganizzazione dell’attaccamento durante il secondo anno di vita interagiscono con i genitori attraverso strategie rigidamente controllanti (Lyons-Ruth & Jacobvitz, 2008). Queste strategie sembrano finalizzate a limitare il più possibile l’attivazione del sistema di attaccamento e quindi del MOI disorganizzato a cui sono legati i processi dissociativi (Liotti, 2011b; Liotti & Farina, 2011).

Sono stati descritti con precisione due tipi di strategie controllanti che fanno seguito alla disorganizzazione dell’attaccamento della prima infanzia: la strategia controllante-punitiva, in cui il bambino interagisce col genitore attraverso l’aggressività competitiva, e la strategia controllante-accudente in cui invece il bambino tende a interagire col genitore offrendo anziché chiedere cura e conforto. Nella prospettiva multi-motivazionale evoluzionistica, la strategia controllante-punitiva sembra corrispondere a rapidi spostamenti dell’assetto motivazionale nelle interazioni fra bambino e genitore dai sistemi di attaccamento-accudimento al sistema agonistico (rango di dominanza e subordinazione), mentre la strategia controllante-accudente è evidentemente basata sull’inversione della normale direzione dei sistemi di attaccamento e di accudimento fra genitore e bambino. Queste due strategie controllanti sono state oggetto di indagini accurate, e la loro grande frequenza come conseguenza della disorganizzazione dell’attaccamento nella prima infanzia è fuori di ogni dubbio. Per mancanza di osservazioni controllate su famiglie in cui i genitori tendono a sessualizzare le interazioni col bambino che dovrebbero essere di attaccamento-accudimento, è stata invece solo ipotizzata la possibilità che alcuni bambini sviluppino una

strategia controllante sessualizzata come sequela dell’originario attaccamento disorganizzato (Erickson, 2000).

Le due (o forse tre, se venisse dimostrata l’esistenza di una strategia controllante

sessualizzata) strategie controllanti sembrano dunque frenare l’attivazione del sistema

di attaccamento nel bambino con attaccamento disorganizzato, e così permettono di

spiegare la mancata segnalazione di evidenti sintomi dissociativi durante lo sviluppo

della personalità di bambini che erano stati disorganizzati nell’attaccamento nei primi

due anni di vita. Tuttavia, questo effetto di relativa inibizione del sistema di attaccamento è possibile solo nelle usuali interazioni quotidiane (per esempio, brevi separazioni dai genitori) in cui normalmente viene stimolato il sistema di attaccamento del bambino. Di fronte a stimolazioni più potenti del sistema di attaccamento (per esempio, separazioni più prolungate dai genitori, minacce di separazioni definitive, o episodi di maltrattamento che configurano veri e propri eventi traumatici) le strategie controllanti vanno incontro a una sorta di collasso. Solo in tali situazioni di intensa e protratta attivazione del sistema di attaccamento emergono sintomi dissociativi, espressione dell’attivazione del MOI disorganizzato (Liotti, 2011b; Liotti & Farina, 2011).

Riconoscendo il ruolo delle strategie controllanti nel limitare la dissociazione e la momentanea compromissione delle capacità riflessive superiori (dimostrata dalla sopra citata ricerca di Farina et al., 2014) che conseguono all’attivazione del MOI di attaccamento disorganizzato, il clinico che segue una psicoterapia attachment informedpresta molta attenzione non solo ai momenti in cui le dinamiche interpersonali del paziente sono esplicitamente guidate dal sistema di attaccamento, ma anche a quelli in cui intervengono i sistemi di accudimento, di competitività agonistica (rango di dominanza o subordinazione) o di seduttività erotica (per la modalità con cui questi momenti possono essere riconosciuti nel dialogo clinico, vedi Liotti & Monticelli, 2008). La valutazione clinica più importante circa il significato dell’attivazione di questi sistemi è considerarla finalizzata alla disattivazione del sistema di attaccamento, cioè come parte di una radicata e ovviamente inconsapevole strategia controllante connessa fin dall’infanzia alla sottostante disorganizzazione dell’attaccamento.

Sulla base di questa valutazione, l’attacchment informed psychotherapy suggerisce

immediatamente di scegliere fra due opzioni. La prima è lavorare clinicamente su tale significato evidenziando i bisogni di attaccamento sottostanti al comportamento accudente, competitivo o seduttivo del paziente. La seconda consiste nel riconoscere tacitamente il valore della strategia controllante, consistente nel proteggere l’interazione terapeutica dall’intrusione di esperienze dissociative e ostacoli alle capacità riflessive, rinviando il tentativo di riflettere sulle dinamiche dell’attaccamento disorganizzato a momenti in cui sia maggiormente consolidata l’alleanza terapeutica. Solo questo consolidamento permette di ripristinare il sistema cooperativo dopo che l’invalidazione terapeutica delle strategie controllanti ha causato attivazione dell’attaccamento disorganizzato e rottura dell’alleanza (Ceccarelli, Monticelli, & Liotti, 2014). Porsi questo tipo di scelte cliniche focalizzate sull’attaccamento, ma solo dopo aver analizzato le suddette “altre componenti della relazionalità umana” in base alla conoscenza delle strategie controllanti, è uno degli aspetti più qualificanti della psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento.

2.4 L’alleanza terapeutica: Base per l’integrazione di memorie traumatiche e stati dell’io dissociati

Il modello di psicoterapia ispirato dalla teoria dell’attaccamento mette a fuoco più esplicitamente di altri tipi di psicoterapia i motivi di fondo per attribuire all’alleanza terapeutica (vista come attivazione del sistema cooperativo sia nel terapeuta sia nel paziente) il valore di precondizione indispensabile per gli interventi che possono causare il collasso delle strategie controllanti e l’intensa attivazione del sistema di attaccamento all’interno dello scambio clinico. Tra tali interventi vanno annoverati quelli che implicano la rievocazione di memorie traumatiche – perché questa rievocazione comporta dolore mentale e quindi bisogno del paziente di ricevere conforto – e quelli che mirano a favorire l’integrazione degli stati dell’io dissociati riconducibili al MOI di attaccamento disorganizzato (Liotti, 2013; Liotti & Farina, 2011), perché un efficace intervento terapeutico su tale MOI implica la riattivazione del sistema di attaccamento all’interno dello scambio clinico.

Ogni intervento che prevede l’elaborazione di memorie traumatiche deve quindi essere previamente concordato col paziente, così che entrambi i membri della diade terapeutica ne comprendano le finalità e i motivi per inserirlo, in un dato momento, nell’agenda delle sedute. Terapeuta e paziente dovranno avere esperienza del recupero di un assetto motivazionale cooperativo dopo rotture dell’alleanza terapeutica legate alla riattivazione del MOI disorganizzato nel corso di precedenti scambi clinici, prima che si possa procedere a un lavoro intenso sulle memorie traumatiche (esempi di questo modo di lavorare sull’alleanza terapeutica sono offerti nei capitoli del libro curato da Liotti & Monticelli, 2014).

L’esperienza ripetuta, durante gli scambi clinici, della sequenza costituita da incipienti rotture dell’alleanza terapeutica – legate all’attivazione del sistema di attaccamento al posto di quello cooperativo – e da pronte riparazioni di tali rotture – attraverso il recupero dell’assetto motivazionale cooperativo – permette a entrambi i membri della diade terapeutica di osservare i due fondamentali stati dell’io dissociati con cui si manifesta il MOI disorganizzato, e successivamente di riflettere su di essi in maniera da conseguirne la reciproca integrazione. I due principali stati dell’io dissociati che conseguono alla disorganizzazione dell’attaccamento sono costruiti uno sul forte bisogno di avvicinarsi alla figura di attaccamento, e l’altro sulla paura di farlo basata sull’attivazione conflittuale del sistema di difesa. Van der Hart, Nijenhuis e Steele (2006) hanno proposto di considerare questa dinamica emozionale che sottende l’attaccamento disorganizzato come una simultanea e opposta fobia di due stati mentali interni, uno basato sul sistema di attaccamento (fobia dei sentimenti di perdita dell’attaccamento) e l’altro sul sistema di difesa (fobia dei sentimenti di vicinanza e del desiderio di vicinanza emotiva). Queste due fobie e gli stati dell’io (inevitabilmente non integrati fra loro: Liotti, 2009) che ne derivano sono considerati la base della dissociazione strutturale della personalità caratteristica dei disturbi conseguenti a disorganizzazione dell’attaccamento e traumi cumulativi (van der Hart et al., 2006).

L’esperienza correttiva, all’interno della relazione terapeutica, della disattivazione del sistema di attaccamento tipicamente iperattivato nella disorganizzazione costituisce dunque, per l’attachment informed psychotherapy, il nucleo del trattamento. Su questo nucleo, costituito dalla sopra descritta analisi e correzione delle rotture dell’alleanza terapeutica, s’innescano gli altri interventi in cui le capacità riflessive del paziente vengono ingaggiate per l’elaborazione delle memorie traumatiche e per l’integrazione reciproca dei due fondamentali stati dell’io dissociati basati sulle fobie degli stati interni. Una citazione permette di riassumere il ruolo centrale che la conoscenza delle operazioni del sistema di attaccamento (disorganizzato), viste nel loro essere coniugate in abnormi tensioni dinamiche con i sistemi di difesa, di accudimento, di rango e sessuale, gioca nella psicoterapia ispirata dalla teoria dell’attaccamento: “Le fobie dell’attaccamento e della perdita dell’attaccamento sono pervasive nei sopravvissuti alla traumatizzazione cronica e si manifestano nella relazione terapeutica in tutte le fasi del trattamento. Superare queste fobie è essenziale per gli ulteriori progressi terapeutici, in accordo con l’idea che l’attaccamento è la matrice in cui si

svolge l’intera terapia” (van der Hart et al., 2006, p. 278, traduzione nostra).

3. Considerazioni conclusive

Nel trattamento dei disturbi dell’adulto conseguenti a traumatizzazione cronica nell’infanzia, una psicoterapia profondamente influenzatadalla teoria dell’attaccamento e dalla successiva ricerca non solo è possibile, ma è già molto diffusa nella pratica clinica (oltre all’opera di van der Hart e collaboratori appena citata, si veda per un solo altro esempio fra tanti il volume di Ogden et al., 2006). In quest’articolo si è voluto argomentare che una terapia realmente ispirata dalla teoria dell’attaccamento (attachment informed), e non solo influenzata da essa, deve rendere congruente con l’originaria teoria di Bowlby sia la propria teoria di base, sia il modo di considerare i vari aspetti della relazionalità umana diversi dall’attaccamento. L’antropologia evoluzionistica nella sua applicazione allo studio dei sistemi di controllo del

comportamento interpersonale offre tale congruenza. L’Autore si augura che altri argomentino altrettanto dettagliatamente che è possibile trovare un consimile grado di

congruenza in una delle altre radici della teoria di Bowlby, come la teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali oppure la psicologia cognitiva. Tali argomentazioni offrirebbero un terreno di confronto entusiasmante per lo sviluppo dell’attachment informed psychotherapy.


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