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  • Immagine del redattorePaola Foggetti

Un recente studio, pubblicato su Molecular Psychiatry, ha evidenziato che alcune segnature epigenetiche di traumi infantili possono essere utilizzate come biomarcatori con lo scopo di prevedere il rischio di depressione, dipendenza da nicotina, disturbo da consumo di alcol e altri problemi di salute nelle persone con traumi complessi, quasi 17 anni dopo.


Per comprendere meglio l'impatto epigenetico del trauma infantile, gli scienziati hanno analizzato campioni di sangue, dati clinici e altre valutazioni raccolte nell'ambito del Great Smoky Mountain Study, un progetto trentennale istituito dalla Duke University e dal Dipartimento della salute e dei servizi umani della Carolina del Nord che ha intervistato centinaia di bambini e adolescenti fino all'età adulta.


La maggior parte dei partecipanti allo studio che ora hanno 30 anni, hanno partecipato quando avevo dai  9 ai 13 anni di età.


I ricercatori hanno prima utilizzato i campioni di sangue dei siggetti per misurare quasi 28 milioni di singoli siti di metilazione nel loro DNA. Hanno quindi identificato i cambiamenti di metilazione correlati all'esposizione segnalata a traumi, come lesioni gravi, violenza sessuale e rischio di morte effettivo o minacciato. Utilizzando l'apprendimento automatico per collegare i cambiamenti di metilazione correlati al trauma sperimentati durante l'infanzia ai dati clinici raccolti nell'età adulta, il team di ricercatori ha generato punteggi di rischio di metilazione per diverse conseguenze avverse. Ciò includeva disturbi psichiatrici, problemi di salute fisica, abuso di sostanze, povertà e problemi sociali.


Le analisi hanno rivelato che i punteggi di rischio potrebbero prevedere i problemi di salute di un partecipante e altre avversità quasi 17 anni dopo la sua esposizione al trauma.


I loro risultati hanno anche mostrato che i punteggi del rischio di metilazione erano un migliore predittore di esiti negativi rispetto ai rapporti sul verificarsi di esperienze traumatiche.


In effetti, i ricercatori hanno spiegato che la metilazione del DNA ha un potere predittivo migliore perché non sta solo mostrando se un bambino ha subito un trauma, ma piuttosto come quel bambino sta rispondendo al trauma. Il potere predittivo dei punteggi di rischio di metilazione potrebbe essere utile anche in situazioni in cui il trauma di un bambino èdifficile da valutare con strumenti standard, come nel caso di abuso o abbandono sessuale, o quando i bambini non sono in grado di verbalizzare l'impatto di eventi traumatici .


Guardando al futuro, il team di ricerca mira a testare i punteggi di rischio di metilazione su un ampio spettro di popolazioni per valutarne ulteriormente il potenziale clinico.


Questo studio ha dimostrato che i biomarcatori di metilazione potrebbero potenzialmente aiutare a identificare le persone più a rischio di sperimentare problemi di salute legati ai traumi.


In questa direzione se la ricerca è in grado di determinare i soggetti che hanno più bisogno di cure preventive, in tal senso si possono personalizzare i trattamenti e supportare le reti psicosociali e gli specialisti per favorire la guarigione.


Original Reseatch:


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La dimensione gruppale in psicoterapia, in riabilitazione, nei contesti di sostegno sociale permette, a ogni membro del gruppo, di confrontarsi con la propria memoria storica: la propria dimensione gruppale.

Il Sé gruppale nasce durante le prime esperienze all'interno del gruppo primario (quelle che Bion chiama prototipiche), la famiglia e che si estende anche durante le esperienze del gruppo dei pari (scuola materna, scuola secondaria e gruppi sociali successivi).

L'insieme delle relazioni gruppali sperimentate durante l'età evolutiva, sommate alle relazioni primarie diadiche costruiscono il senso del sé e di essere al mondo, i Modelli Operativi Interni (MOI) che potremmo definire "sistemici".

Ma la nostra identità non finisce qui.

La matrice intrinsecamente sistemica e relazionale dell'essere umano è resa multipla nelle dinamiche di gruppo, indipendentemente dalla sua forma, in cui, sia a livello conscio che inconscio si inseriscono e prendono forma gli aspetti tipicamente culturali, politici, religiosi.

In questo processo dinamico la cultura entra nella rappresentazione del Sé sociale.

Le forme del gruppo.

Esistono e si possono formare diverse tipologie di gruppi: gruppi psicoterapeutici, di sostegno sociale, di comunità, di lavoro, di supervisione, etc.. La mia lunga esperienza clinica con i gruppi mi ha permesso di esplorare e studiare diverse forme di gruppo, da cui ho tratto molti insegnamenti e arricchimento personale.

In questo articolo mi soffermo sul gruppo terapeutico.

Secondo il mio modello multidimensionale di psicoterapia che integra diversi approcci psicoterapeutici: cognitivo evoluzionista, psicodinamico, cognitivo comportamentale e biopsicosociale in ottica Pnei (psiconeuroendocrinoimmunitario), la psicoterapia di gruppo è concepita in un nuovo sistema in itinere, costituito dall'insieme delle persone e dalle relazioni che fra queste si vengono a creare.

In questa visione multisistemica, nel gruppo di psicoterapia convivono unità e molteplicità interagenti, e quindi diversi livelli di complessità: gli individui ciascuno con le proprie caratteristiche, la propria storia personale, la propria cultura, e la dimensione collettiva (gruppo come fenomeno) che agisce, si muove e si identifica come insieme.

Inevitabilmente ogni membro del gruppo, in modo consapevole o inconscio, porta se stesso, la propria esperienza di vita, i miti costruiti nel tempo, i propri schemi relazionali, le proprie emozioni, credenze, e tutte queste dimensioni personali si intrecciano, a vari livelli, con quelle di tutti gli altri membri, nasce così un nuovo sistema gruppo.

Anche nel gruppo terapeutico, come accade nel gruppo familiare, si vengono a costituire regole, si creano ruoli e funzioni, sottosistemi e alleanze. E quindi anche il gruppo di psicoterapia costruisce una propria identità, la propria storia che diviene il nuovo contesto di crescita personale.

Nel gruppo terapeutico è possibile rivedere, rileggere, accettare e modificare se necessario, i propri schemi relazionali disfunzionali, attraverso un lavoro consapevole e non giudicante con la guida del terapeuta.

Attraverso un lavoro gruppale si forma la storia del gruppo, essa si costruisce nel momento stesso in cui inizia la terapia, quando i contesti individuali si intrecciano e si contaminano.

Rispetto al lavoro individuale, in psicoterapia di gruppo si pone maggiormente l'accento sulle dinamiche relazionali che avvengono in tempo reale. Tutto assume un altro significato se abbiamo la possibilità di comprendere, chiarire e riflettere su ciò che accade nel momento presente nei contesti interpersonali. E quindi il tempo storico viene a coincidere con il tempo terapeutico.

Quasi sempre scelgo di formare gruppi aperti, perché credo che abbiano un potente valore terapeutico. I gruppi aperti di psicoterapia sono quelli in cui il terapeuta, sceglie e informa fin dall'inizio i partecipanti, che nel gruppo potrà entrare un altro membro, previo preavviso e condivisione della scelta del terapeuta. Questa "regola" permette di lavorare sul tema del confine del gruppo, altro aspetto fondamentale che fa riferimento al gruppo primario.

Il contesto gruppale attiva diversi sistemi motivazionali su base innata, in primis il sistema agonistico e di attaccamento e il sistema affiliativo. L'obiettivo è andare verso una coesione gruppale, in cui l'intimità del gruppo facilita la crescita individuale.

Il tema dei confini si inserisce in questo momento cosi delicato in cui, percepito un senso di appartenenza, di sicurezza, in cui potersi esprimere senza paura, l'inserimento di un nuovo elemento può essere vissuto come una minaccia per il sé ma anche per il gruppo stesso.

Ma accettare che il proprio spazio sicuro abbia dei confini flessibili e non rigidi, significa sostanzialmente accettare e sostenere la vera apertura e condivisione con il mondo, significa aver acquisito maggior sicurezza interna. E' il cammino terapeutico di un gruppo aperto.

La flessibilità dei confini vale anche per i membri del gruppo che decidono di interrompere la psicoterapia. E' importante comprendere che ogni movimento di un sistema disorganizza il sistema stesso e che esso è quindi chiamato a riorganizzarsi. Ma questa è la vita e questa è la nostra ricchezza, se tutto fosse sempre fermo non avremmo possibilità di evoluzione.

I processi sopra esposti, sono attuati seguendo delle regole fondamentali che il terapeuta di gruppo assolve con molta cura.

La psicoterapia di gruppo si muove seguendo regole esplicite e implicite che definiscono il contesto. Alcune di queste regole vengono comunicate in prima seduta dal terapeuta, altre, per lo più implicite, vengono create nel tempo dal gruppo stesso e possono essere meta-comunicate o modificate per adattarsi all'ulteriore evoluzione del gruppo.

Una volta raggiunta la coesione del gruppo e accettata la flessibilità dei suoi confini, ogni

partecipante sente di muoversi in sicurezza per esplorare i propri conflitti, le paure, gli abbandoni, rimettere in discussione i propri schemi mentali.

Il gruppo diviene così quel campo relazionale in cui ogni partecipante può riprendere in mano la propria vita, fare le proprie scelte, confrontarsi sui propri dubbi e fragilità.

Il gruppo offre quindi una rete di sicurezza attraverso cui sperimentare scenari esistenziali, anche se dolorosi.

Nei miei gruppi di psicoterapia posso attuare, inoltre, se necessario, tecniche di gestione dello stress, e dello stress post traumatico, come l'EMDR (secondo il protocollo di gruppo), tecniche psico-corporee e la mindfulness.

Molta attenzione la dedico anche all'aspetto psicoeducazionale riguardo alla nutrizione e all'igiene del sonno, mentre ai gruppi già avviati propongo due seminari annuali, di 3 ore ciascuno, da svolgere insieme su temi concordati nelle sessioni di gruppo.

Nei gruppi psicoterapeutici integrati il percorso si orienta verso l'apprendimento di scelte autonome che sono utili nel momento presente, capaci di orientare ogni membro in modo adattivo rispetto all'ambiente in cui è immerso. E dunque, 'idea di Yalom di "ricapitolazione" può essere sostituita dall'idea di rinarrazione, rievocazione, riattivazione. (Giordano e Curino, 2013).

Il focus del processo terapeutico si situa nel qui ed ora del gruppo, anche se si lavora col "materiale" del passato: connettere il passato, il là e allora degli apprendimenti disfunzionali in tutte le loro sfumature, nella scena del presente del gruppo rappresenta il punto massimo di perturbazione delle rigide mappe introiettate nel gruppo primario.

La condivisione affettiva del gruppo permette di sfidare meccanismi di produzione di significato rigidi, indebolire le mappe apprese in famiglia, ed incrementare i gradi di libertà, aumentando il numero di scelte possibili.

Il gruppo diviene così il luogo dove si possono sperimentare sensi di appartenenza diversi rispetto a quelli familiari e si vivono relazioni di conferma di nuove parti di sé.

Nel sistema terapeutico gruppale integrato il terapeuta deve avere la capacità di mantenere un livello di pensiero “mèta” che gli permetta di trovare le connessioni tra le trame delle tante storie e tra i possibili sviluppi dei partecipanti.



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Il tempo non cura tutte le ferite, talvolta le nasconde soltanto e quelle ferite tracciano la nostra vita come un’epidemia nascosta (Lanius et al., 2010). Le conoscenze scientifiche sull’incidenza e la prevalenza dei disturbi trauma correlati in età adulta e delle esperienze traumatiche durante l’età dello sviluppo, sulle loro conseguenze psicopatologiche e sulla salute dell’intero organismo, sono cresciute esponenzialmente negli ultimi vent’anni.


Già dieci anni or sono usciva in Italia il volume di Ruth A. Lanius e colleghi, forse ancora oggi il più importante della psicotraumatologia dello sviluppo, una rassegna aggiornata e completa dei saggi sull’argomento: “L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia”.

La ricerca scientifica da allora è andata avanti continuando a confermare quei dati epidemiologici e mettere ancor più in evidenza l’incidenza, la prevalenza e la complessa morbilità dei disturbi trauma correlati e cumulativi, che insorgendo in età infantile possono avere un impatto patologico multisistemico, a vari livelli di gravità, su tutto l’organismo.


Altre chiavi importanti che ampliano la conoscenza eziopatogenetica dei disturbi traumatici complessi riguardano le numerose ricerche nel campo dell’epigenetica pre e post natale.

In questa direzione intra e inter-sistemica vengono affrontati gli argomenti esposti in questo libro. Le ipotesi sulle osservazioni dei dati vengono elaborati attraverso il paradigma scientifico psico-neuro-endocrino-immunitario (PNEI), il quale studia le complesse relazioni bidirezionali tra la psiche e i sistemi biologici. Particolare attenzione è posta ai network psicobiologici che interagiscono e sono influenzati dai contesti sociali, ambientali e culturali. L’essere umano viene quindi concepito e studiato come un organismo dinamicamente integrato con il proprio ambiente di vita.


Un fattore importante capace di influenzare profondamente i network PNEI (Psiconeuroendocrinoimmunitari) è lo stress, condizioni di stress cronico possono avere effetti disfunzionali e maladattativi di lunga durata, con deviazioni dei livelli di operatività dei diversi sistemi biologici (nervoso, immunitario, endocrino e metabolico) e conseguenze patologiche su vari organi e apparati (McEwen, 2017).

Un’attenzione particolare viene data a quelle condizioni traumatiche di stress cronico che riguardano esperienze di vita fortemente avverse durante l’età dello sviluppo e che possono ripresentarsi in età adulta.

Questo lavoro prende in esame situazioni cliniche di stress ripetuti e abnormi. Presentiamo uno studio osservazionale di 30 pazienti ambulatoriali, con diagnosi di PTSD-complex in comorbilità con altri disturbi in Asse I e II, dello spettro traumatico e dissociativo, disturbi dell’umore e Malattie Autoimmuni.

Quando parliamo di disturbi trauma correlati non possiamo riferirci solo al Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD, DSM-5), ma a una serie di sindromi e malattie di importante complessità diagnostica.

In un’ottica mente corpo integrata l’esposizione a stress emozionali ripetuti, a condizioni di vita di solitudine e trascuratezza, incrementa l’attività infiammatoria del sistema immunitario. Al contrario, l’infiammazione, che dal sistema immunitario raggiunge il cervello, influisce la funzionalità cerebrale anche nelle diverse esperienze della vita di relazione. Questo indica che i processi motivazionali possono essere immersi in una matrice cerebrale infiammatoria, causando comportamenti disfunzionali e stati di sofferenza psichica, da cui possono scaturire veri e propri disturbi psichiatrici. (Bottaccioli, 2017).

I disturbi traumatici cumulativi definiscono una dimensione psicopatologica che si presenta in tutti i quadri clinici peggiorandone la prognosi e determinando resistenza a qualsiasi tipo di intervento terapeutico (Farina e Liotti 2013). Il principale fattore di resistenza è dato dalle difficoltà nella relazione terapeutica con il clinico, nella costruzione e nel mantenimento dell’alleanza terapeutica (Farina, Liotti 2013; Ivaldi, 2009, 2016; Foggetti, 2013, 2014; Monticelli, Liotti, 2014); poter mantenere e rinegoziare una alleanza terapeutica costituisce il fattore cruciale nel processo di trattamento con questi pazienti che viene approfondito nel V capitolo.

Nel presente lavoro vengono tenute conto le linee guida proposte dalla ISST-D e integrate con tecniche e interventi validati (EMDR, Meditazione, Ipnosi), riconosciuti idonei per ogni singolo paziente.

Il sovraccarico allostatico, enorme, che ogni paziente traumatizzato porta all’attenzione del clinico, in termini di sintomi disregolati, di comportamenti lesivi come abuso di sostanze o alcol, di comportamenti autolesionistici come ferite autoinferte, pensieri suicidari, etc., altresì come carico di memorie traumatiche, deve essere affrontato tenendo conto della messa in sicurezza del paziente e delle possibili risorse disponibili. Quasi sempre è necessario costruire e concordare una rete di aiuto multidisciplinare.


Esiste una vastissima letteratura che riguarda lo studio dei disturbi traumatici ed in particolare, dei traumi ripetuti e cumulativi.

I traumi possono presentarsi in modo acuto e macroscopico ma anche agire in modo “mascherato”.


Molto spesso l’epidemiologia del trauma “nascosto” e i suoi effetti sulla persona dipendono da diverse variabili: la caratteristica degli eventi traumatici, l’età del soggetto, le caratteristiche temperamentali, la personalità, la predisposizione genetica, la marcatura epigenetica, ma dipendono anche dalle disponibilità di accoglienza e sostegno sociale, dalla prossimità di un caregiver capace di dare aiuto e consolazione, dalle capacità di coping e di resilienza della persona.


La presenza o l’assenza di questi fattori determinano un impatto variabile e altamente differenziato sulla salute e sulla qualità di vita degli individui esposti a eventi traumatici.


Proprio a causa del marasma infiammatorio psiconeuroendocrino e del sistema immunitario, i traumi cumulativi e ripetuti, se non trattati, possono favorire nel tempo l’insorgenza di un’ampia gamma di sindromi e malattie: disturbi cardiocircolatori, malattie dell’apparato respiratorio, diabete di tipo 1, malattie autoimmuni, disturbi depressivi e altre patologie psichiatriche insieme a costellazioni sintomatologiche di alta complessità diagnostica.


Altre evidenze importanti arrivano dall’epigenetica che consente di studiare ed analizzare i meccanismi molecolari attraverso i quali i contesti relazionali e ambientali possono influenzare l’espressione genica. Argomento ampiamente studiato di cui si parla nel quarto capitolo.


Tuttavia è importante sottolineare che l’esposizione ai traumi non determina sempre un disturbo traumatico, e soprattutto i danni psicobiologici possono essere, quasi sempre, sanati. Il principio della plasticità epigenetica implica che le modifiche all’epigenoma potrebbero resettarsi quando le avversità ambientali non sono più presenti e quando si sviluppa una modalità alternativa per affrontare le sfide ambientali.

In età adulta possiamo imparare non solo ad adattarci e quindi sviluppare i nostri meccanismi di resilienza ma soprattutto imparare a proteggerci, in senso psicobiologico, dalle avversità prevedibili.

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